AUTOBIOGRAFIA DI ANDREW TAYLOR STILL
A cura di Mara Ongarato D.O.
“Scrivo questo libro per riportare i fatti senza riferirmi a date ben precise. Non ho mai tenuto un diario e quindi mi affido soltanto alla mia memoria.
Ricordo la mia infanzia come quella di tanti bambini di quell’epoca, mia madre si occupava di me e dei miei fratelli, la mia scuola era in un edificio fatto di tronchi ed il mio insegnante si chiamava Vandeburgh; un uomo saggio che faceva un uso moderato della frusta, sceglieva tra le dodici la più adatta all’occasione.
Dalle sette del mattino alle sei di pomeriggio ci insegnava ortografia, grammatica e aritmetica e quando non sapevamo la lezione ci faceva sedere sul teschio di un cavallo.
Nel 1834 ci trasferimmo da Jonesville – Virginia a Newmarket nel Tennessee e proseguii gli studi alla Holston College, della Chiesa Metodista.
Nel 1837 il Congresso Metodista del Tennessee trasferì mio padre e con lui tutta la nostra famiglia in una terra senza scuole, ne chiese, ne nulla di ciò che all’epoca si considerasse minimo progresso, fui così costretto a sospendere la scuola fino al 1839 quando mio padre con altre persone assunsero il Sig. Halstead per farci delle lezioni nel tempo libero. La scuola per me fu nuovamente sospesa fino al 1842 quando la comunità in cui vivevo costruì una capanna di legno nella quale il Sig. Wilkesborough fu un bravo insegnante di buone maniere con i suoi alunni che lo ricompensarono con enormi progressi.
Dopo il 1845 me ne andai di casa e mi iscrissi ad una scuola presbiteriana del Missouri, mentre vivevo con una famiglia che mi divenne molto cara, diede accoglienza a me e al mio amico John Duvall. Dopo la scuola aiutavamo sempre la Sig.ra Gilbreath con gli animali e in tutto ciò che potevamo. Nel 1848 tornato a La Plata frequentai una scuola completamente dedicata ai numeri.
Passai molto tempo andando a caccia e divenni così un esperto di cani, e la mia vita in questo ambiente mi fece diventare molto veloce nella corsa. In quegli anni arrivavano voci di nuove stufe in cui si poteva anche cucinare, di macchine per cucire molto veloci; tutto ciò ci sembrava incredibile e non vedevamo l’ora di poter vedere con i nostri occhi queste tecnologie innovative ed affascinanti. Ritengo sia stata una fortuna vivere in una zona di frontiera, la nostra sopravvivenza dipendeva dalla nostra intraprendenza e questo mi piaceva molto. Mia madre mi diceva “chi risparmia il bastone odia suo figlio”, ma comunque fu moderata nell’uso della frusta. Mio padre invece mi diceva che “se vuoi mettere buon senso nella testa devi mantenere la mente aperta” oppure “se vuoi mettere la farina nel sacco devi mantenerlo aperto”, come anche “se vuoi cavalcare devi salire in groppa al cavallo e poi stargli ben attaccato”. Imparai tutti i lavori della fattoria, nei campi come anche con gli animali.

Il mio primo contatto con l a scienza Osteopatica fu un giorno in cui fui colpito da un forte mal di testa, mi venne in mente di legare una corda a due alberi e di farla scendere a mo’ di altalena fino a circa20/25 centimetri da terra. Ci appoggiai la testa interponendo una coperta e usai la corda come una culla. Mi addormentai e al mio risveglio non avevo più dolore. Siccome soffrivo spesso di mal di testa che si accompagnava anche a nausea, usai questa tecnica per vent’anni ottenendo sempre lo stesso risultato, ma senza capire cosa accadesse anatomicamente.
Quando la mia intelligenza fu raggiunta dalla conoscenza compresi che avevo agito sull’attività dei nervi occipitali armonizzando il flusso arterioso. Ora sono convinto che le arterie sono il fiume della vita della salute e del benessere, se non sono limpide la conseguenza è la malattia.
Ci fu un episodio in cui fui costretto a combattere con un serpente a sonagli che per me rappresentava il veleno e quindi i medicinali, non sapevo come affrontarlo ed avevo molta paura, ma poi la mia intelligenza mi fece pensare a staccare la cinghia che era legata alla staffa e con questa sconfissi il serpente; fu il primo successo nell’applicazione del principio osteopatico.
Superata l’età dei giochi e della spensieratezza di un ragazzo di frontiera iniziai i miei studi come medico, ed iniziarono anche le mie ricerche per trovare una compagna, fu così che cercai di attrarre l’attenzione delle ragazze indossando l’uniforme, un bel giorno incontrai Mary M. Vaughn, bella e piena di amore e buon senso. Nel 1849 divenne la Sig.ra Still e dopo le formalità del caso la portai nella nostra nuova casa costruita su ottanta acri di terra poco lontano dalla casa dei miei genitori.
Nel primo anno di matrimonio ebbi l’occasione di provare sentimenti vari: dalla soddisfazione per un raccolto ricco dopo un lavoro intenso nei campi, all’improvvisa delusione nel perdere tutto dopo una bufera che distrusse oltre al raccolto anche tutto il bestiame che avevo allevato, dovendo ricorrere all’aiuto di mio padre per far arrivare me e la mia famiglia al nuovo raccolto.
Nel 1844 mio padre ebbe un contrasto molto forte con la Chiesa Metodista riguardo alla schiavitù che lui riteneva essere un peccato, mentre la Chiesa Metodista approvava. Mantenne la sua posizione contro tutti e non si fece spaventare nemmeno dalle minacce che gli arrivarono da varie parti, lottò e divenne un convinto abolizionista fino a quando non vide sparire per sempre la schiavitù.
Nel 1853 io e mia moglie ci trasferimmo a Wakarusa nel Kansas, vivendo a stretto contatto con le tribù indiane, mia moglie si dedicò ad insegnare ai bambini indiani, mentre io arai venti acri di terra con un aratro per tutta l’estate, in autunno poi andai a curare gli indiani affrontando problemi come febbre, secrezione eccessiva, polmonite e colera. All’epoca gli indiani lasciavano praticamente morire i loro cari di colera mettendoli sdraiati con il viso in una buca in cui vomitavano ed il bacino in un’altra in cui evacuavano, all’aperto, fino a quando non andavano al creatore. Quando iniziai a curarli gli somministrai le medicine che loro chiamavano dell’uomo bianco, imparando il loro linguaggio. I risultati furono buoni e presto fui ben considerato nella loro società.
Nel 1854 alcune tribù indiane firmarono un accordo nel quale i bianchi acquistavano dagli indiani i loro territori e quindi questi furono aperti a nuovi insediamenti e la nostra gente iniziò a colonizzarli.
Il 29 settembre 1859 mia moglie morì, lasciandomi solo ad occuparmi dei nostri tre figli, due dei quali la raggiunsero poco dopo. Rimase Rusha che a soli 18 anni si sposò e andò a vivere per conto suo nel Kansas. Anche molti dei nostri amici di allora mancarono, ci fu permesso godere dell’amicizia di poche persone; la vita era dura ed era molto facile che sopraggiungesse la morte.
Nel 1860 mi risposai con Mary E. Turner, mi diede quattro figli, e tutti combatterono per la grande e fiera bandiera dell’osteopatia insieme a me.
Nel settembre del 1861 mi impegnai ad addestrarmi ed arruolarmi nella cavalleria del Kansas, poco dopo fummo mandati a Springfield, nel Missouri. Ci mettemmo alle costole del Generale Price e ci accampammo in tutti i posti dove la notte prima si posizionavano loro, ammainando le loro badiere da sudisti per sostituirle con quelle a stelle e striscie. Molti uomini che si erano nascosti al passaggio di Price si unirono a noi, permettendoci di avere un esercito composto di 120.000 uomini. Passammo l’inverno ad Harrisonville dove i cecchini nemici tentavano sempre di spararci, rimanemmo a guardare fino a quando il Colonnello Ford non inviò una spedizione punitiva e si racconta che uccisero fino a 700 uomini nemici.
Nella primavera del 1862 il mio battaglione venne sciolto e fui libero di tornare a casa mia, dove organizzai la Milizia del Kansas di cui divenni capitano il 15 maggio, fui incaricato di addestrare gli uomini e di controllare la strada che da Kansas City fino al Messico. Successivamente fu costituito il Diciottesimo Reggimento della milizia dello stato e io fui nominato Maggiore. Nel 1864 mi fu ordinato di portarmi alla frontiera per combattere il Generale Price, il quale aveva in programma di arrivare ad Indipendence nel Missouri molto presto. Le battaglie in cui fui coinvolto furono durissime, rischiando più volte di essere ucciso dalle pallottole nemiche.
Durante le battaglie contro il Generale Price alcuni dei miei soldati per la paura si gettavano a terra pregando il Buon Dio di salvarli, ma pur essendo un uomo di Dio, saltai dal mulo e li spronai per riprendere le fila e combattere i ribelli. La nostra vittoria sul Generale Price fece perdere a loro una cinquantina di uomini e guadagnare a noi più di duecento cavalli.
La nostra marcia continuò fino a raggiungere Shawneetown, di li a poco ricominciò la battaglia con il Generale Price che fu costretto ad indietreggiare verso sud, lo inseguimmo per novanta miglia nel corso del quale perse numerosi cannoni e arrivando fino ad un paio di miglia da Fort Scott. A quel punto terminò il nostro inseguimento del Generale Price, ma abbiamo avuto la fortuna di prendere come prigioniero il Generale Confederato Marmaduke che fu costretto a seguirci nonstante la sua volontà. Le forze ribelli non avevano più molte energie, fu data loro la possibilità di provvedere al seppellimento dei morti e di li a poco centoquaranta dei loro soldati si arresero a noi. Quando arrivarono alla resa diedi ordine al capitano di disarmare i suoi uomini e di allinearli in modo che io potessi passarli in rassegna.
Feci loro un breve discorso nel quale esprimevo il mio disappunto per la guerra e per le conseguenze che questa porta, sapevo che avevano ucciso molti dei miei uomini e che anche se portavano la bandiera bianca avevo deciso di sparare al Capitano come anche a tutti i soldati che si erano arresi con lui. La reazione generale fu di terrore, qualcuno era sul punto di svenire, fino a quando non continuai che “avrei sparato loro nella bocca cibo e caffè per poter trasformare il loro dolore in felicità”. Successivamente ordinai di andare al deposito e di mangiare a sazietà.
Capitano e soldati reagirono con riconoscenza nei miei confronti e condivisero il mio sentimento di dispiacere per quello che la guerra costringe ogni soldato a fare e sopportare.
Nell’ottobre del 1864, arrivati a De Soto in Kansas, mi fu mandato l’ordine di sciogliere il reggimento, la guerra era finita, feci credere ai miei soldati che avrebbero dovuto affrontare una battaglia sanguinosa, dissi loro di tirarsi indietro se non se la sentivano, solo alcuni manifestarono titubanza al riguardo. Quando rivelai che era tutto finito e sarebbero tornati a casa, esplose una grande gioia e tutti si sentirono meglio. Finì così la mia esperienza da soldato.
Alla conclusione della guerra contribuì la mancanza di denaro per continuarla, ecco che proclamata la pace non poteva più esistere la schiavitù che era stato uno dei motivi per cui gli uomini di questo paese erano entrati in guerra.
- Primi Trattamenti
- Targa di A. T. Still
- Prima scuola di Osteopatia
- Scuola di A. T. Still
Ma appena tornato a case intrapresi mio malgrado una vera e propria guerra contro i farmaci che venivano somministrati alle persone ammalate. Ero certo che farmaci ed alcool avrebbero reso schiave le persone a prendere queste sostanze dannose. Morte, schiavitù e sofferenza erano tornati fra la mia gente. Alcune persone che si rendevano conto della dipendenza venivano da me e mi dicevano di voler essere liberato come la gente di colore per cui aveva combattuto in guerra.
Molte persone che conoscevo si comportavano da ipocriti: rinnegavano di curarsi con i farmaci, mentre poi andavano in farmacia a cercare una medicina per questo o per quel problema, a volte giurando che era per la moglie o per la madre, mentre invece la loro dipendenza aumentava sempre più. Tutto ciò mi disgustava sempre più.
La mia medicina si basava sullo studio dell’anatomia, per approfondire la mia conoscenza andai a dissacrare le tombe degli indiani, studiavo i loro corpi per avere la possibilità di dare una soluzione alle malattie dei miei pazienti.
Essendo convinto che “il più grande libro su cui studiare fosse l’uomo”, mi concentrai su di esso lasciando da parte i libri scritti, il miglior modo per farlo era quello di studiare i cadaveri. Mi convinsi che il fine giustifica i mezzi, e fu con questo proverbio che combattei i miei rimorsi nei confronti di quei corpi di indiani che sacrificai alla mia conoscenza.
La mia conoscenza fu comunque il frutto di varie esperienze vissute alla frontiera, durante la guerra civile come anche dopo.
Andrew Taylor Still ha trasmesso direttamente ai suoi allievi della prima scuola di osteopatia i principi che sono alla base del concetto osteopatico.
Tutti noi osteopati continuiamo a sentirci suoi allievi ancora oggi ogni volta che applichiamo questi elementi basilari dell’osteopatia che ci riportano direttamente a Lui.
Il primo principio fra tutti quelli trasmessi da A.T.Still è quello di ricordarici, quando iniziamo una seduta con un paziente, di immaginare e sopratutto di visualizzare sempre un corpo con tutte le sue parti in armonia, quindi un corpo sano.
Solo facendo ciò possiamo capire cosa non funziona nella persona che stiamo trattando e fare del nostro meglio per portare le varie strutture del corpo verso la condizione ottimale.
Per fare ciò bisogna però conoscere il corpo umano nella sua totalità, nelle sue connessioni tra i vari sistemi e parti in modo da permetterci di intuire quali sono le condizioni che impediscono nel paziente il ritorno alla salute……
“Dio e l’esperienza sono gli autori che riporto per questo libro. I testi di medicina sono per noi di scarsa utilità, e sarebbe stupido da parte nostra consultarli per avere consigli e istruzioni su una scienza della quale non sanno nulla. Questi libri non sono in grado di spiegare in modo intelligente concetti e teorie complesse, e l’osteopatia non ha mai chiesto loro dei consigli.
Sono pochi gli allievi della mia scuola che hanno cercato di ottenere sapienza dai libri di medicina e riuscendo poi ad applicarla alla filosofia e alla pratica osteopatica.
La nostra scuola insegna l’anatomia in modo più approfondito rispetto ad altre, perché vogliamo che lo studente abbia un’immagine di tutto il corpo o di qualsiasi sua parte, alla stregua di un pittore che ha in mente l’immagine mentale di qualsiasi cosa che desideri ritrarre con il suo pennello. Insegno ai miei studenti ad avere sempre la mente piena di immagini che rappresentino un corpo in salute”.